Archiviata anche l’edizione 2024 della Kermesse, del Festivàl più amato dagli italiani. Avevo previsto Mahmood non vincitore (corretto), Maninni ultimo (è arrivato 26esimo, quindi forse ancora peggio che arrivare ultimo) e il Volo a dormire per strada (non ho prove del contrario, quindi potrebbe essere una previsione azzeccata).
Come sempre è un ottimo specchio del Paese e questo è stato un Festivàl dalle forti tinte di centrodestra: ritmi semplici e disco dance. Musichette, insomma. L’opposizione rappresentata timidamente da Ghali e da un Dargen D’Amico che prima dice cose, poi dice che non voleva dirle. Qualche opinione graffiante quasi quanto il Movimento Cinque Stelle con le canzoni sul bullismo o cose del genere di Big Mama, Mahmood e simili. C’è pure John Travolta che, non a caso, l’ultima volta che era stato sul palco dell’Ariston era nel 2006, anche all’epoca al governo c’era il centrodestra: erano negli anni d’oro del berlusconismo. Rassicurante pure lui, i conservatori lo ricordano per Grease e va bene così. Infine, tornano i Ricchi e Poveri, a ricordarci che alcune cose non cambiano mai: i ricchi restano ricchi e i poveri restano poveri.
Questa newsletter, però, parla anche di marketing, pubblicità e dintorni e io lo scorso anno mi ero lanciato in una filippica a proposito degli spot di Sanremo (argomento in cui mi dilungherò pure oggi) con particolare attenzione al fatto che la pubblicità di RaiPlay fosse imbarazzante rispetto a quella dei suoi competitor Amazon Prime Video e Netflix. Probabilmente i vertici Rai avevano letto quel numero di Fuori dal blu e hanno deciso di porre rimedio: per non sfigurare, non hanno fatto nessuna pubblicità di RaiPlay durante Sanremo, seguendo l’antico adagio che afferma che se non fai non sbagli. Netflix, come sempre, se n’è uscita con uno spot di alto livello, ma è uno dei pochi brand che si è ricordato che Sanremo è quel momento-Superbowl italiano in cui la gente guarda anche gli spot. Bene anche Spotify, come sempre: vincono il premio freddura per la scelta di inserire una Fiat Ritmo in uno spot di un servizio musicale.
Due menzioni speciali per quanto riguarda le pubblicità: la prima è relativa ai due artigiani della qualità di Poltronesofà che ogni tanto apparivano durante lo show. Mai viste due persone più o meno normali così a loro agio davanti alle telecamere in un appuntamento così importante. Di solito tutti agitati, tesi, ma loro no: svaccati sul loro divano stavano lì davanti a milioni di italiani come se fosse un giorno qualunque. Chapeau.
L’altra menzione è per MV Line, azienda di infissi (ma che, davero?), che se n’è uscita con uno spot dall’ironia che di solito si vede negli spot del Superbowl dall’altra parte dell’oceano. Idea semplice, fatta bene. Bravi, e coraggiosi, loro. Di solito non è facile per aziende italiane di quel tipo far passare “ai piani alti” il concetto di non mostrare il prodotto ma fare una cosa ironica fatta bene.
Male invece Amazon Prime Video, che se n’è uscita con uno spot che poteva essere generato con l’AI e con immagini di persone chiaramente non italiane inframezzate dai titoli dei nuovi prodotti in uscita. Un grande passo indietro. In quest’ottica, un’occasione persa per RaiPlay, che quest’anno avrebbe potuto cavarsela benissimo anche con uno spot brutto. C’erano però gli spot delle fiction RAI, che sembrano sempre uscite da Boris, cose tipo “Mameli”, “Califano”, o la fiction su Margherita Hack. Come sempre titoli originali e coraggiosi. Ah no.
Infine c’era Temu, che ci ricorda che la Cina forse ce la siamo dimenticati per qualche anno, ma che è sempre vicina e può permettersi addirittura di mandare in onda durante Sanremo uno spot non pensato per il nostro mercato e adattato soltanto nella sua frase finale, “compra da miliardario” o qualcosa di simile per ricordarci di comprare cianfrusaglie inutili sottoprezzate. Alla faccia dell’attenzione alla sostenibilità, invece portata avanti magistralmente da Eni. Tutum-cià (suono di piatti tipo late show quando il comico fa la battuta).
Comunque, questo è stato verosimilmente l’ultimo festival di Amadeus e Fiorello (almeno per ora, perché come hanno già fatto in tanti il ritorno, per citare Califano, non è mai da escludere). Grazie al supporto del direttore artistico-ombra Josè, il quindicenne figlio di Amadeus, hanno indubbiamente fatto qualcosa di importante nel rilanciare un format altrimenti in declino. Bravi. Ora chi verrà dopo farà fatica a fare di meglio. Allora, per seguire l’esempio di RaiPlay e dei suoi spot, se non puoi o non vuoi fare di meglio tanto vale fare di peggio. Qui una proposta di come potrà svolgersi l’edizione del 2025 della kermesse, in una serata singola. Le parole non sono mie ma di Yves Klein, padre spirituale di questa newsletter, in un pezzo dal titolo “Sensibilità pura”.
Una saletta. Gli spettatori, dopo aver debitamente pagato ciascuno il proprio biglietto d’entrata, abbastanza caro… entrano nella sala e prendono posto.
Sipario calato. Sala illuminata.
Non appena la sala è piena, un uomo si presenta sul palco, davanti al sipario calato e dichiara: “Signore e signori, date le circostanze, stasera siamo costretti a incatenarvi alla sedia (e, in più, ad imbavagliarvi) per tutta la durata della rappresentazione. Questa misura di sicurezza è necessaria, allo scopo di proteggervi contro voi stessi, dinanzi a questo spettacolo particolarmente pericoloso, da un punto di vista affettivo puro. Ci scusiamo in anticipo con le persone che non possano sopportare di essere incatenate e imbavagliate così prima che il sipario si alzi e le preghiamo gentilmente di voler lasciare la sala per farsi rimborsare all’uscita. Nessuno, che non sia incatenato solidamente alla sedia, sarà tollerato in sala durante lo spettacolo. Grazie.”
Subito un gruppo di incatenatori-imbavagliatori entra in sala e, in modo sistematico, fila dopo fila, paralizza velocemente tutti gli spettatori.
Quando tutto è pronto si spengono le luci in sala. Il sipario si alza lentamente con un crepitio continuo, simile a quello che fa l’acqua gasata appena stappata, ma prodigiosamente amplificato. È un’inondazione sonora, monotona, che s’impregna volumetricamente nello spazio, percettibile dall’udito sensibile di ogni spettatore.
Sul palco: una sala vuota bianca, bianchissima; tutti gli angoli sono arrotondati. Tutto è vuoto, assolutamente vuoto con soltanto il crepitio! (Nel caso in cui gli spettatori non fossero imbavagliati bisognerebbe togliere l’audio)
In sala, delle bellissime ragazze nude, o al limite, in bikini, specie di maschere-hostess, passano tra le file degli spettatori e li riconfortano, gli aggiustano le catene e i bavagli, gli dicono l’ora e quanto tempo ancora devono sopportare lo spettacolo (dei bellissimi ragazzi, anche loro nudi o in costume, si occupano invece delle spettatrici).
Passata la prima mezz’ora, il crepitio si spegne a poco a poco, si dissolve completamente, e un’altra mezz’ora trascorre nel silenzio assoluto per gli spettatori, sempre seduti di fronte alla scena vuota, bianca e abbagliante.
Il sipario cala. La luce si riaccende in sala. I gruppi di incatenatori ritornano a liberare gli spettatori dalle catene e dai bavagli.
In alternativa, sono disponibile come conduttore per la prossima edizione. Alla co-conduzione ci sarà il più importante ligure della storia. Cristoforo Colombo? No, il Gabibbo.
Tre cose a caso che ho letto di recente
(Questa sezione e la prossima sono due mini-rubriche che da ora in avanti accompagneranno tutti i numeri di questa newsletter. Se ti stai chiedendo cosa c’entrano i link qui sotto con il resto di questo numero la risposta è: niente.)
Tosse e oscar
C’è uno studio pseudo-scientifico che afferma che il numero degli starnuti o dei colpi di tosse presenti in un film sia in grado di influenzare le sue capacità di vincere l’oscar come miglior film. In pratica, c’è un numero di colpi di tosse o starnuti variabile a seconda di diversi fattori che è il numero che gli spettatori possono accettare. Chi si avvicina di più a quel numero ha le maggiori possibilità di vincere un Oscar come miglior film. Sotto quella cifra è pressoché impossibile vincerlo. A meno che il protagonista non abbia recitato o non reciterà in un film di Batman. In quel caso si può vincere anche con zero colpi di tosse. Logico, no?
La morte dei laptop
Nel 1985 il New York Times diede per morti i computer portatili. A sostegno di questa tesi: “le persone non vogliono portarsi dietro un computer in spiaggia o in treno per trascorrere ore che preferirebbero trascorrere leggendo la sezione sportiva o economica del giornale”. Non è andata proprio così.
Kim do Brazil
Kim Jong Un e suo padre Kim Jong Il negli anni ‘90 disponevano di passaporti brasiliani, rilasciati dall’irreprensibile ambasciata brasiliana di Praga, con i quali pare abbiano fatto più volte richieste di visti in Paesi occidentali e con i quali hanno visitato Disneyworld in Giappone.
Una cosa bella da vedere
I video-maker Jamie Scott e Jim Perkins negli ultimi cinque anni hanno ripreso delle cose nella natura tra lo stato di New York e Montréal e hanno prodotto un timelapse fighissimo su come la natura cambia in inverno, con tante cose che ghiacciano.
Nelle puntate precedenti
Questa newsletter esce a intervalli irregolari, magari sta ferma quattro mesi e poi riparte, parla di cose a caso come: le previsioni sul futuro della C, della X e della Q, la necessità di buttare in caciara gli eventi di business, scenari post-apocalittici, domande in stile Focus, considerazioni sulla geografia del nostro tempo, la storia del calabrone, una trasferta a Chicago, la Venere turista, l’LSD, le cose che imparo, la sinistra, RAI Play, le televendite, le previsioni, i cinepanettoni, Elon Musk, l’arte, il metaverso.
Il prossimo numero uscirà a sorpresa e parlerà di un argomento a caso, come sempre.