Come dimostra il mio jet lag intermittente appena terminato, sono tornato da qualche giorno dopo 10 giorni passati a Chicago, cose di lavoro.
Piccolo riassunto sulla città:
Chicago è bella.
Gli Stati Uniti sono sempre più cari (lì fanno ancora quella cosa di far crescere gli stipendi che un tempo andava di moda anche qui).
La deep dish pizza è buona. Se non sai cos’è, è un tortone salato spesso con una pasta burrosa, un sacco di mozzarella, del pomodoro, dei pepperoni (aka salamino piccante), della salsiccia e quel che vuoi. Il nome trae in inganno e triggera subito l’italiano medio, quello che si indigna quando qualcosa si chiama pizza ma non è esattamente come quella italiana. Non c’entra niente con la pizza nostra, a parte la mozzarella e il pomodoro, ma è buona.
(Ho un problema con gli elenchi puntati: il primo punto mi viene bene, conciso. Il secondo è accettabile. Sul terzo svacco male)
Al mio ritorno un mio amico mi ha chiesto “Beh, quindi che c’è di nuovo in America?”
La domanda mi ha stupito, ma è abbastanza corretta. Di solito le cose nuove arrivano dagli Stati Uniti, quindi pensiamo che là sia tutto diverso, tutto nuovo. Negli stessi giorni in cui io ero a Chicago, a Mountain View, in California, Google teneva il suo annuale I/O, in cui annunciava una serie di innovazioni fighissime che, come tutte le cose di questi tempi, includevano tonnellate di AI. Quella è novità vera. Nella vita reale degli americani non è che ci sia tutto questo impulso all’innovazione.
Anzi, quando passi del tempo negli Stati Uniti ti accorgi in fretta che di nuovo là non è che ci sia molto. Le innovazioni stanno nelle grandi aziende, nelle big tech e in tutte quelle startup fighe che si vedono qui. Fuori c’è davvero poco. Te ne rendi conto in tante piccole cose. Ad esempio: gli infissi. Non esistono le guarnizioni. La finestra è di legno e batte sul legno del davanzale. Spifferi che paiono la bora. Ma tanto puoi tenere il riscaldamento a palla e chissene, pazienza che il pianeta sta friggendo. Per farla breve: mettessero delle cazzo di guarnizioni a quelle finestre ridurremmo le emissioni mondiali di gas serra di circa il 72% (fonte: Centro Studi Daniele Grosso sugli infissi e le tapparelle, già autore dell’analisi di mercato sugli alzatapparelle elettrici). È progresso girare con delle auto 6.2 di cilindrata su autostrade trafficatissime con i limiti a 100 km/h? È un’innovazione chiedere i documenti per una birra anche quando è evidente che hai superato i 21 anni? Non lo so.
Il primo giorno dopo essere arrivato, sveglio alle 5:30 del mattino in preda al jet lag, ho dato sfogo a uno dei miei passatempi preferiti: guardare cose scrause in TV. A conferma del fatto che di nuovo c’è poco negli Stati Uniti, posso confermare che il livello medio della TV (anche qui, parlo di quella normale eh, mica della HBO) è ancora più basso di quello italiano. La cosa bella, lì, è che il neoliberismo imperante ci regala pubblicità di categorie merceologiche che qui sono off limits. Ci sono, quindi, pubblicità di: avvocati che ti aiutano a recuperare i soldi dall’assicurazione quando ti fai male, antidepressivi con pubblicità che fanno leva sui bambini, roba del tipo “la mamma era tanto triste, ma poi ha preso le benzodiazepine e…”, e farmaci per la cura del diabete venduti come dimagranti (che per la verità vanno pure forte su TikTok). Tutte cose che ci ricordano che lì le diseguaglianze sociali ci sono, le assicurazioni ci campano, la gente si deprime, è meno istruita e finisce col prendersi farmaci a caso. Anche qui: è un’innovazione? Continuo ad avere dei dubbi.
Ad essere sostanzialmente diversa è l’attitudine in ogni cosa, e lo si vede. Io a Chicago ci sono andato soprattutto per una fiera, roba B2B. In questo caso il mio passatempo preferito è quello di guardare cosa le aziende scrivono sui loro stand. Ci avete mai fatto caso che su tutti gli stand ci sono scritte delle parole che, tendenzialmente, pochissimi leggeranno e su cui probabilmente sono state spese ore di riunioni nel reparto marketing dell’azienda per riflettere su quale possa essere la frase migliore, come se questa facesse qualche differenza? Di solito fotografo queste scritte. Qui in Italia ci sono gli evergreen, quelli che dicono che “ascoltano le esigenze dei loro clienti” (e qui mi viene da dire “grazie al cazzo”: a parte i bagni in Liguria quali aziende se ne fregano dei loro clienti? Dai, dimmi qualcosa di nuovo), poi ci sono quelli che uniscono “tradizione e innovazione” (tradotto: il vecchio capo non vuole andarsene, ma fidati: siamo innovativi lo stesso) e poi negli ultimi anni, sui pannelli degli stand, è emersa una moltitudine di “futuri” possibili.
Lo scorso anno ad una fiera metalmeccanica italiana nello stesso padiglione c’erano: “The future of industry”, “Shaping the future of manufacturing”, “Tooling the future”, “Leading to the future of automation”, “The future of machine tools” e ne avrei probabilmente trovati tanti altri. Il futuro, sulle pareti degli stand è sempre qualcosa di vago, qualcosa che è futuro ma io ce l’ho già adesso, ed è quello che vuoi.
Negli Stati Uniti ho notato una piccola variazione: c’è futuro, sì, ma più preciso, piu “actionable”, direbbero loro. C’è quindi chi scrive sul proprio stand “Make the new possible”, chi dice “Push the boundaries”, chi “Let’s manufacture possibilities”, chi promette “Powerful solution so anyone can make anything”, chi offre la possibilità di “Manufacture without limits” e chi invita ad “Achieve the extraordinary”. Tutte cose altrettanto vaghe, ma più ambiziose.
Ambiziose come quando io e i miei compagni di viaggio siamo andati a vedere il baseball e siamo rimasti affascinati da gente che beveva birra dentro delle mazze da baseball di plastica cave. Fighissime. Ne abbiamo ordinate 6, ma eravamo in 4. Eh no, sei birre a quattro persone non te le possono mica dare, se no rischi di dare le due in più a dei bambini. Nulla ti vieta di rifare la coda e prenderne altre, ma l’importante è non prendere più di una birra a testa per volta, così sono tranquilli. La cosa che più ti frena dal rifare la coda e prendere altre birre, però, è principalmente il fatto che 4 birre le paghi 150 dollari. L’ho già detto che gli Stati Uniti sono cari? Ah sì? Il motivo è questo qui:
Ciononostante, mi sono rincuorato vedendo che la migliore qualità degli italiani, ovvero l’arte dell’arrangiarsi e di trovare soluzioni creative dove il mercato mette delle barriere, vanta importantissimi esponenti anche oltre oceano. Mentre guardavo la partita di baseball, infatti, ad un certo punto mi sono soffermato ad osservare alcune gradinate, un po’ più lontane del resto degli spalti:
C’è pure il sito, WrigleyRooftops.com: in pratica, qualcuno ha messo delle tribune sui palazzi intorno allo stadio, fuori dallo stadio, e vende biglietti come se fossero dentro (la loro Unique Selling Proposition è che da loro con 99$ a capoccia guardi la partita, ma soprattutto mangi e bevi quanto vuoi, all inclusive).
E in tutto ciò ci sono delle meravigliose somiglianze con l’ospedale “San Giovanni di Dio” di Crotone, da cui si vede il campo dello stadio e in cui, negli anni in cui i pitagorici hanno giocato in serie A, c’era chi cercava di farsi ricoverare di domenica o anche solo di andare a trovare un parente ricoverato per godersi la partita dalle finestre dell’ospedale.
Anche qui, gli americani non si sono inventati niente di nuovo. Ma soprattutto, signora mia, lo possiamo proprio dire: tutto il mondo è paese.
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Questa newsletter esce a sorpresa e parla di cose a caso come: la Venere turista, l’LSD, le cose che imparo, la sinistra, RAI Play, le televendite, le previsioni, i cinepanettoni, Elon Musk, l’arte, il metaverso.
Non ti dirò mai quando uscirà il prossimo numero. Però posso dirti di cosa parlerà. No, non è vero. Tante care cose.