Il Partito Democratico ha un nuovo segretario. Contrariamente alle mie previsioni di inizio anno è Elly Schlein. Un fantastico colpo di coda che dimostra che il famoso “popolo della sinistra” esiste ancora e forse finalmente ha capito che la destra sarà sempre più brava a fare la destra, quindi meglio provare a fare la sinistra. Personalmente, non credo di aver quasi mai votato il PD: gli ho sempre preferito partiti che, almeno a parole, fossero collocati più sinistra. Risultati: scarsissimi. A me il voto utile mi fa un baffo. Tuttavia, sono sempre andato a votare a tutte le primarie del Partito Democratico e, per la cronaca, questa è la prima volta che ho votato per chi ha vinto.
Ho vissuto per vent’anni della mia vita a Collegno, una delle ultime Stalingrado d’Italia. A Collegno c’è una meravigliosa toponomastica: Corso Togliatti termina in Piazza Che Guevara, si dedicano le scuole ad Antonio Gramsci o alla mamma di Pajetta, le piazze a Nilde Iotti e le vie a Rosa Luxemburg. Manca solo il busto di Lenin, ma c’è quello di Lajos Kossuth, che non ha potuto essere comunista soltanto per ragioni di tempo. Nei miei anni collegnesi, per intenderci, si sono alternati tre sindaci che hanno vinto hanno ottenuto percentuali di consensi vicine al 70%. Nel 2013 mi ero candidato pure io a consigliere, da indipendente, in una lista a sinistra del PD. Il mio slogan elettorale, in puro stile situazionista, era: “Aiuta il lavoro degli scrutatori: sulla scheda scrivi GROSSO”. L’impossibilità di trovare uno slogan migliore di questo mi ha portato a non ricandidarmi mai più.
A Collegno, soprattutto, c’è il Circolo Aurora, che prende il nome dall’incrociatore russo che sparò il colpo che diede inizio alla rivoluzione sovietica e che, ovviamente, è stato costruito dal PCI. Nel circolo Aurora, oltre alle sedi dei partiti (con la sinistra che occupa il secondo piano, quello più in alto, e il PD il primo, per questioni di gerarchia) c’è una balera che, da cinquant’anni a questa parte, il mercoledì e giovedì sera si trasforma in cinema.
La programmazione è più o meno d’essai e i film proiettati a volte sono stupendi, altre volte bruttissimi. Si accede solo con la tessera, l’età media dei soci è di 68 anni e la maggior parte di essi capisce le battute 8 secondi in ritardo, quando le sente, dato che l’audio è garantito da una cassa non al massimo della sua forma. Le sedie sono talmente scomode che è impossibile addormentarsi e i film sono trasmessi da un lettore DVD della ONKYO importato, quasi sicuramente, dalla civile Corea del Nord.
Una delle parti più belle è ciò che succede dopo il film: fortunatamente non c’è nessun dibattito, ma uscendo dal cinema si sentono i commenti del pubblico. C’è chi non ha capito chi fosse l’assassino, chi era distratto e non ha colto il dettaglio fondamentale del film, chi ringrazia per aver visto un film eccezionale, chi si limita a dire “che schifezza”. C’è, soprattutto, un’allergia al lieto fine. Lo scorso anno è stato proiettato un film francese di una madre single che lavora lontano da casa e deve arrabattarsi per mantenere il suo lavoro e badare al bambino: un’escalation di disagio che culmina con il licenziamento della protagonista. Alcune scene che fanno temere il suicidio della protagonista, ma poi la svolta. Una telefonata: viene offerto alla protagonista il lavoro dei suoi sogni. In sala una delusione cocente, in molti, me compreso, esclamano “NOOOO!”. Mia madre, di fianco a me, che di stagioni del cineforum ne ha viste tante, immagina un finale adeguato e mi dice “tranquillo: adesso con il nuovo lavoro sarà più impegnata di prima e affideranno il figlio ai servizi sociali”. Purtroppo non va così. Titoli di coda. Lieto fine.
Il tasso di delusione dei soci del cineforum si tagliava col coltello. Perché in fondo in quel cinemino siamo tutti di sinistra e sappiamo che di solito le cose non vanno come dovrebbero. O più semplicemente andiamo al cinema per provare delle emozioni forti. Ma soprattutto, c’è qualcosa di magico in quella balera che si trasforma in cinema. Forse non lo sappiamo né io, né tutti quelli che vanno lì da molto più tempo di me, ma senza esserne troppo consapevoli stiamo facendo qualcosa per mantenere viva la magia del cinema, e questo non è né di destra né di sinistra.
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Il circolo di cui parlo qui sopra si chiama Suburbana e quest’anno compie 50 anni. Le stagioni non sono cinquanta solo per colpa del Covid, ma non so quante altre rassegne cinematografiche vadano avanti da così tanto tempo. Domani inizia la nuova stagione, 13 film a 25 euro. Qui c’è il programma.
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Questa newsletter esce a sorpresa e parla di cose a caso come: RAI Play, le televendite, le previsioni, i cinepanettoni, Elon Musk, l’arte, il metaverso.
Il prossimo parlerà di un argomento a piacere. Quando uscirà? Chi lo sa.